Esce il 7 Novembre scorso “Un altro Giugno 73”, singolo di Mico Argirò, cantautore cilentano di origini calabresi, che si dedica alle scrittura di canzoni e alla musica per il teatro. La canzone che arriva dopo l’album “Vorrei che morissi d’arte” e il videoclip “Il Polacco”, è ispirata al capolavoro “Giugno 73” di Fabrizio De André e racconta la fine di un amore. E’ una canzone molto intima, la cui sonorità acustica e folk cozza meravigliosamente con l’ambiente ferroviario creando un clima malinconico, incorniciato nel videoclip della canzone. Videoclip peraltro realizzato dal regista Ciro Rusciano nei pressi della stazione ferroviaria abbandonata di Torchiara.
Oggi Mico risponde alle nostre curiosità sul suo ultimo lavoro.
All’improvviso “Un altro Giugno73”, questa canzone rompe il silenzio e prepara ad un album oppure dobbiamo aspettare molto?
"Un altro Giugno73" non è collegata a un album, non so nemmeno se ci sarà un altro album. Probabilmente sì, ma non subito. Questa è una canzone che aveva senso da sola, è una storia a sé. E poi mi sono rotto del fatto che tutto debba essere promozionale, tutto deve portare da qualche altra parte. Per il suo contenuto e per il suo valore anche catartico per me, andava pubblicata così.
Una canzone speciale, ma cosa la contraddistingue dalle altre che hai scritto in precedenza?
È una canzone più matura, sia come testo che come musica. Ha tanto in comune sia con cose mie più vecchie che, soprattutto, con "Saltare" di "Vorrei che morissi d'arte". È un passo in avanti, ma anche la conclusione di discorsi più vecchi. C'è un sound folk sperimentato, i suoni della stazione, ma anche un testo più contemporaneo e articolato. È un insieme di più elementi, il vecchio Mico e il nuovo.
Cosa caratterizzava il vecchio Mico e cosa caratterizza il nuovo? È una canzone di crescita ma è stata una crescita sofferta o un evolversi naturale delle cose?
“La crescita è in genere sempre sofferta, anche quando è graduale. Come quando vogliono buttarti i giocattoli perché ormai sei grande... Io, pur mantenendo forte la mia parte bambina, ho avuto vari eventi traumatici e quelli li sento tutti nelle cose nuove che scrivo. Per quanto riguarda il percorso artistico devo dire che vedo una mia maggiore praticità e maturità dettati dall'esperienza soprattutto. Insieme a questo, però, ho tanta voglia di sperimentare cose nuove, chissà quali saranno i prossimi pezzi?!”
Se dovessi chiederti che genere fai come ti definiresti?
“Questo non lo so bene nemmeno io e odio tanto la classificazione in generi, soprattutto quando sei uno che fa cose diverse tra di loro. "Money" è un pezzo reggae, "Il Polacco" è un misto di world music, "Un altro Giugno73" più classica da cantautore, "Vorrei che morissi d'arte" più verso un pop-rock. Di fatto rientro nella definizione di "musica d'autore", sempre capendo bene che sono uno che fa quello che gli pare. Sono uno che fa musica molto passionalmente... Qui ci sta bene Sant'Agostino: "Ama e fai ciò che vuoi".
Parlando di musica d'autore, quanto De André c'è in questa canzone e nella tua musica in generale? Quali sono le tue influenze musicali e cosa più ti ispira del tuo vissuto?
“De André in questa c'è tantissimo... D'altronde l'ho già paragonato per me a un padre da amare e uccidere. Tutta la canzone usa un pezzo di De André come simbolo della storia d'amore che finisce. Giugno '73 è quella canzone di De André che dice "È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati", un cazzotto nello stomaco. Tutta la musica dei cantautori italiani è una base per me, ma amo spaziare dal reggae alla musica internazionale, da compositori contemporanei o concreti, alla musica popolare, fino agli artisti più indie. Per quanto riguarda il mio vissuto credo che mi influenzi tutto, dagli eventi più importanti e profondi a quelle sciocchezze inutili che sembro notare solo io... Alla fine la canzone la scrivi in un attimo, ma c'è dietro tutta una vita.”
"la canzone la scrivi in un attimo" è davvero così per te? Che tipo sei quando componi un metodico oppure uno che aspetta l’ispirazione?
Di solito scrivo di getto e sotto ispirazione, poi la aggiusto, anche per tanto tempo. "Un altro Giugno73" è invece scritta diversamente, tra una strofa e l'altra ci passano anni. La cosa qui è positiva perché dà un quadro d'insieme, inaspettato anche al Mico che scriveva la prima strofa. Non essendo uno che deve scrivere per forza non sono metodico nello scrivere, tendo più all'emotività, anche se con l'esperienza apprendi tanto su come lavorare ai pezzi.
Quanto ti condizionano le tue origini e il luogo in cui vivi? Perché Mico un po' cilentano e un po' calabrese decide di andare a Milano?
Ho metà sangue Calabrese e metà Cilentano, sono cresciuto nel Cilento che è una terra chiusa, dalla storia antica, dalle tante bellezze e dalle tantissime problematiche. Sono di Agropoli, quindi ho sangue arabo nel profondo. Tutto questo è essenziale nella mia musica ed è una cosa che va oltre l'orgoglio, non potrei scrivere quello scrivo se dietro non avessi tutto questo mix che ho appena detto. Sono a Milano da poco, mi piace molto questa città, pur riconoscendone tutti i peccati. Sono qui per due motivi, il primo lavorativo perché insegno qui, il secondo artistico, nella ricerca sia di nuovi stimoli che di contatti. Mi ritengo un privilegiato ad essere nato in provincia e, soprattutto, ad essere nato cilentano. Rispetto ai cittadini abbiamo una visione più chiara e meno "dal di dentro" dei nuovi fenomeni, delle nuove mode. Se ci impegniamo forse abbiamo qualche possibilità in più di sopravvivere alla deriva zombie.
parole di Ivana Rizzo
scatti forniti da Mico Agirò