Sono arrivata a New York City il primo luglio 2017. Ho lasciato la mia famiglia, le mie sorelle, le mie più care amiche, ho lasciato persone, progetti e una strada senza uscita.
La valigia era carica di aspettative, quelle che si porta dietro ogni lungo viaggio, della convinzione che in un modo o nell’altro l’avrei fatta funzionare e di un sorriso stampato sul viso che mi ha fatta sentire piena ad ogni passo, nonostante la nostalgia, le lacrime e l’acqua alla gola. Spesso mi sono scontrata con l’evidenza che non ogni cosa dipendesse da me per quanto cercassi con tutte le forze di dargli un verso. Alcune cose sono riuscita a tenerle insieme, altre ho dovuto lasciarle andare.
Da quel primo luglio sono passati esattamente cento giorni. Li racconto in cinque pillole estratte da quel diario che mi aiuta a tenere il conto.
Giorno 1 – Atterrata al JFK ho iniziato a pregare che insieme a me scendessero dall’aereo anche la mia valigia e il borsone. Dopo un volo di nove ore e mezza e tutta quell’adrenalina nelle vene non riuscivo a pensare ad altro se non ai miei vestiti. Ho sempre avuto le priorità tutte sballate forse, ma avrei rappresentato l’Italia e non potevo farlo coi vestiti di qualcun altro!!
Ho finalmente avuto i miei bagagli, ho raggiunto la mia zia del Delaware che ha fatto un viaggio incredibile per venire a prendermi, siamo andate nella casa che avevo scelto dall’Italia e…siamo scappate via a gambe levate! Un vero disastro: ho vissuto in New Jersey per tre settimane con mio cugino e ogni giorno facevo la pendolare. Lo fanno in molti qui visto quanto costano gli affitti in città. La morale del mio primo giorno a New York City è che io New York non l’ho assolutamente vista!!
Ma dal Verrazzano-Narrows Bridge ho sbirciato il primo di una lunga serie di tramonti che mi hanno sempre fatta sentire a casa.
Giorno 25 – A New York quel giorno pioveva e anche dentro di me. Avevo avuto dei problemi su ogni fronte per tutta la settimana e le frasi di incoraggiamento che mi ripetevo stavano perdendo di significato. Avevo iniziato a chiedermi che cosa fossi andata a fare dall’altra parte dell’Oceano e lontana da tutti, forse non ci avevo riflettuto abbastanza.
Ho iniziato a camminare per tornare a casa e a un certo punto ho trovato il mio posto sicuro, il mio rifugio sul Manhattan Bridge. Ho telefonato alle mie amiche e sono scoppiata a piangere, ma loro le ho trovate esattamente dove pensavo, dall’altra parte della cornetta a incoraggiarmi.