Ogni città ha un carattere: Napoli è l'anima tormentata, la contraddizione che ammalia e risucchia; Venezia è lo stupore malinconico. Il capoluogo fiorentino è, invece, la bellezza timida, circoscritta, che resta addosso, anche a distanza. Cinque giorni di incanto rubati al tempo, vissuti a Firenze per scoprirla e ammirarla. Questa città è la grazia che rende, attraverso l'arte, l'esistenza abitabile oltre la superficie, spezzando l’uniformità del tempo. È lo straordinario che s'incarna nelle pieghe ordinarie della quotidianità, di cui è testimone il David michelangiolesco, realizzato all'inizio del XVI secolo, conservato presso la Galleria dell'Accademia, il cui marmo diviene carne, volto, che – nella sua sacralità - consente l'intuarsi: l'artista lotta con la materia, che si muta in umanità in cui riconoscersi.
Firenze è la bellezza straziante della trionfante Primavera di Sandro Botticelli, percorsa da fremiti di mistero e caducità, la quale incombe con l'ombra cupa del bosco sullo sfondo. È invito a camminare, a perdersi dinanzi a scorci che tolgono il fiato, per scoprire e scoprirsi, ritrovandosi dinanzi nell'abitazione di Dante Alighieri, in un'atmosfera accogliente e densa di emozioni, accresciute dall'esposizione di una copia della Divina Commedia dal Codice Trivulziano del 1337. Firenze è lo stupore del panorama offerto da Piazzale Michelangelo, la cui linea dell'orizzonte – troppo netta per non averne paura – è spezzata dalle torri dei palazzi, dalla Cupola autoportante del Brunelleschi, terminata nel 1461, che si stagliano verso il cielo, in un anelito di eternità. La formidabilità della città toscana con le sfumature di Ponte Vecchio – sede degli orafi e gioiellieri dal 1593, per volere di Ferdinando I de' Medici - e il sottostante Arno, che – placido – fluisce, è soprattutto un modo di guardare, perché noi siamo come guardiamo: è lo sguardo attento – attraverso cui ogni istante si fa scandalo, ricerca di senso ed è capace di spiazzare le intelligenze accorate - la premessa a considerare la vita altrui e propria.
parole e scatti di Rosanna Caiazzo