"Il lavoro che faccio parla di me, e a me, meglio e più profondamente di quanto si possa fare a parole, perché l’atto del ‘guardare’, dell’indagare, coinvolge numerosi aspetti" intervista a Nicolantonio Napoli - Emmetag

 

Chi è davvero il regista Nicolantonio Napoli? 

      Guardi, davvero non lo so. Potrei dire che sono uno che guarda, che si incanta, uno spettatore di professione. Scomodare Pirandello dicendo che tutti noi siamo una miriade di cose con tante personalità, e che l’occhio degli altri più del proprio si avvicina alla comprensione di NOI in una percentuale non trascurabile. Oppure rispondere con una frase letta su un muro qualche tempo fa: Mi invento ogni giorno mi riconosco sempre. Sento però che il lavoro che faccio parla di me, e a me, meglio e più profondamente di quanto si possa fare a parole, perché  l’atto del  ‘guardare’, dell’indagare, coinvolge numerosi aspetti.  Nel senso che per me il teatro è davvero l’Arché. E’ il tutto. Per cui io sono con o senza il teatro. E mentre decido tra il dentro e il fuori mi faccio incantare da quello che mi circonda cercando di leggerlo con l’occhio del fotografo, o del sociologo e interpretarlo giocando d’anticipo come fanno gli artisti e come dovrebbe fare la buona politica. lo sono Leibniziano. Mi dico che ci deve essere un senso a perché Dio o il Demonio mi fanno rinunciare al posto fisso e mi hanno fatto fare teatro. La spiegazione è che per me il teatro rappresenta il luogo della scoperta, del cambiamento. Il luogo da dove partire e dove tornare; la grande possibilità di scendere nel profondo e lì incontrarci faccia a faccia con l’altro da noi. Talvolta dal teatro ci devi stare a distanza, osservarlo da lontano e trovare dei diversi punti di osservazione perché il contatto visivo diretto risultava fatale. Come Perseo che per difendersi dallo sguardo mortale di Medusa la guarda specchiata nel suo scudo e evita di essere pietrificato. O come Orfeo che scende negli inferi con la sua inseparabile lira per andare a riprendersi sua moglie Euridicema, non resiste alla promessa di non voltarsi indietro fino alla porta dell’Ade, si gira e perde per sempre l’amata. Un'altra  cosa è poi parlare del mio lavoro teatrale come pratica quotidiana. In questa  relazione posso definirmi un resistente, meglio un resiliente. Perché avere a che fare con le Amministrazioni Comunali, le LR, le circolari ministeriali per finire agli spiccioli imprenditori nostrani, immediatamente ti delude e ti tradisce. E tradire un grande  patrimonio, una grande energia, una grande potenzialità, che è il teatro, è una forma di stupidità. In questa fatica quotidiana, in questo sforzo di dialogo con gli amministratori che passano, con i dirigenti che restano, il dialogo sulla proposta culturale che facciamo è complicato. Perché l'ho sempre tirato fuori da quelle che sono le manfrine quotidiane dello spettacolo da mettere su con scene e costumi e armamentari vari. Si possono fare gli spettacoli con le candele, perché c’è l'idea del teatro. Non vedo idea del teatro in giro. Un’idea di teatro necessario, teatro povero, essenziale. Kantor diceva: “Io non ho bisogno di niente, vado in scena perché se c'è l'idea, la gente rimane ed è colpita”. Genet parlava del teatro come fatto catacombale, come clandestinità, come giuramento del sangue. Che è tutta altra cosa dal teatro di divagazione, di intrattenimento. Ma non è solo il tipo di teatro che si offre. Avere spettatori  a teatro non è cosa da poco. Bisogna uscire di casa con i pericoli, con le solitudini: pagare un biglietto che onestamente è alto e riuscire a farti scegliere. Un miracolo. E poi il teatro non è la televisione. Il teatro è sulle scelte, sull'opzione. Per questo è un fatto educativo, e per questo mi augurerei che fosse insegnato nelle scuole. Ed è più o meno quello che faccio io. Insegno filosofia teatrale. Parlare con un bambino  per trasmettergli dei saperi sotto forma di storie non è facile. Ma se gliele sai raccontare, se gli dai il mito, la favola il teatro può essere un comizio. Il teatro è più vicino alla capacità di astrazione, di riflettere metafisicamente sulla vita, questo è il grande pregio del teatro, l'unica zona franca che ci è rimasta oggi. Io prima di cominciare non avevo mai letto di teatro, ma sempre filosofia, psicanalisi, linguistica. Poi ho cominciato a leggere Sartre e Camus, e poi Genet, Grotowski, Jarry, Artaud e quelli che hanno pensato al teatro. Perché il teatro è pensiero.

Quali sono le ragioni che l’hanno spinta a creare Casa Babylon?

      Casa Babylon  nasce ormai 25 anni fanel 1994 per mia iniziativa. La voglia di tornare sul mio territorio, l’idea che la nostra esperienza maturata in anni di studi, i contatti con artisti e maestri, le esperienze e gli spettacoli visti in giro per l’Italia in teatri e festival potesse trovare un luogo d’accoglienza, una casa, in un territorio, il nostro, carico di necessità e emergenze.

Perché ha scelto di restare nell’Agro Nocerino Sarnese e di non andare via?

      Non è stato un ‘restare’, ma un ‘ritornare’. Per circa 10 anni sono stato ‘fuori’. Tra i non molti della mia generazione che andavano a studiare fuori della propria regione. Prima l’università a Bologna, il DAMS spettacolo, e poi in giro sull’asse Roma Milano tra stage, seminari, incontri, master e corsi post-laurea che mi servivano per la mia formazione in una ansia di sapere di curiosità e di interessi che ancora (e meno male) mi prende come una malattia. Al progetto ha subito aderito un gruppo di giovani attori, tutti provenienti dalle migliori Accademie Nazionali d'Arte Drammatica, laureati nelle discipline di arte, musica e spettacolo e con alle spalle esperienze al fianco di importanti attori e registi. E poi la formazione con i maestri,  quali Tadeusz Kantor, Jerzy Grotowski, Eugenio Barba, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Alvaro Piccardi, Franco Pero’, Francis Pardeilhan.
Il gruppo è nato con una forte volontà di stabilità nel lavoro e con uno spirito itinerante, che ha permesso a molti dei suoi componenti di incontrare altri artisti, fare esperienze parallele al teatro, e di portare i nuovi impulsi all’interno della compagnia.
L’obiettivo di creare un Centro Permanente per lo Sviluppo e la Promozione della Cultura del Teatro e dello Spettacolo, nel cuore dell'Agro Nocerino Sarnese e di riferimento per tutta la Regione. Creare un centro di formazione per le professioni dello spettacolo con la finalità di integrare i tradizionali linguaggi della cultura e dell'arte con elementi di innovazione nel campo tecnologico e organizzativo per lo sviluppo culturale, sociale della provincia di Salerno e dell'intera regione Campania dando vita ad eventi culturali e ad attività stabili di ricerca e di alta didattica nel campo del teatro e dello spettacolo.
Un progetto che richiede l'attenzione e la politica degli investimenti puntata non più sulle grandi città e sulle città turistiche della Provincia e della Regione, ma sui centri minori e interni come le città dell'Agro Nocerino-Sarnese, enormemente ricche di risorse ma in perenne rischio di esclusione culturale, bisognose di interventi e attenzioni straordinarie e di una Politica Culturale coraggiosa e precisa. Abbiamo molti esempi di grandi istituzioni culturali e teatrali nati e cresciuti in luoghi cosiddetti periferici. E con quegli esempi abbiamo pensato e fatto nascere Casa Babylon. Eppure una inconsistenza politica dei nostri territori che guardano al televisivo, e una velocità del mondo moderno che tende a mettere fuori gioco tutto quanto non appare più giovane fa correre il rischio di sottovalutare un progetto che ancora adesso nonostante gli anni dovrebbe rappresentare un bagaglio di garanzia per tutti gli interlocutori che si avvicinano al nostro lavoro.

In cosa consiste il progetto?

      Il Progetto consiste nella creazione di un Centro per la formazione dei lavoratori dello Spettacolo, di Arte e Cultura Teatrale promozione, produzione e distribuzione teatrale  per le nuove generazioni.

Quali sono le cose che non vanno nel mondo teatrale del Sud (in generale) e della Campania (in particolare?

      C’è il mondo teatrale del Sud (in generale), della Campania (in particolare), e poi c’è il mondo dei territori minori ancora più circoscritti e periferici, come la realtà dell’agro nocerino sarnese che presenta tutti i pro e i contro di un territorio di medie dimensioni che rischia di rimanere schiacciato tra Napoli e Salerno. Questi territori dovrebbero promuovere il teatro e la cultura in genere come concreta pratica sociale per contrastare un impoverimento culturale che giorno per giorno rischia di vedere coinvolte  le risorse più giovani e innovative costrette alla rassegnazione. Le condizioni di deterioramento che trovi  qui, sono  le stesse  che trovi in tutta Italia. Solo magari, Milano ha un attimo il senso di imprenditorialità che qui manca. Ha una visione. Noi ci limitiamo a organizzare rassegne teatrali con uno sciame di abbonati over 60 che partecipano alla rappresentazione  ‘evento’ del personaggio televisivo di turno. Manca un progetto di Teatro Diffuso, di capillare presenza sul territorio di realtà nuove che trovano terreno fertile e realtà già radicate e potenziate nel loro operare. E in questo la Puglia è uno straordinario esempio, dando vita ad un movimento nuovo e propulsivo che ha coinvolto il teatro, la comunità civile, l’economia. Un esempio poco seguito. Ma è anche il vento che tira. Quello che mi addolora è che quel  “desiderio di nuovo” che c’era qualche anno fa è scomparso. Ma è un grande abbaglio. Il teatro è scavalcato da questa dimensione folle di altro genere che è la dimensione televisiva, la notorietà mediatica; è un grande problema anche dal punto di vista pedagogico perché quando arrivano i giovani attori che cosa vai a raccontare loro? La solita favola che avranno successo? Oppure li metti davanti alla nuda realtà? Bisogna diventare resistenti, fare una guerra civile a quel che sta succedendo. Diventare partigiano. Io ho un’idea molto partigiana di teatro. Per me il teatro è una cosa che va al di là dell’elemento recitativo. Non capire questo in termini generali, tanto meno del mio fare teatro è colpa grave se non malafede,  perché non si comprende (o non si vuole comprendere ) le peculiarità di un territorio e l’atto tutto politico di immaginare un progetto culturale di questo tipo qui e ora. Il teatro è un grande viaggio pieno di contraddizioni, di polarità, che dunque ti permette di mutare e di rimanere identici allo stesso tempo. Il teatro è un arte sacrificante. Però per me fare teatro è stata la ragione di vita, la salvezza di me stesso, indipendentemente dalla messa in scena, io ‘faccio teatro’ per stare meglio. Poi se posso condividere con altri è meglio. Mi arrabbio quando vedo che gli altri non concepiscono il teatro come atto di cultura. La prima cosa che chiedo sempre a chi comincia ora “sei pronto a sacrificarti? Altrimenti fai un'altra cosa”. Io ho una concezione che sfocia nel rigore, non è che si può fare teatro come fare la zazzuela, quello è uno stare in mezzo magari anche pieno di inconsapevolezza ma è uno starci in modo impiegatizio. Noi facciamo un lavoro sacrificato rigoroso. E qui dovremmo parlare di quanti fanno un lavoro protetto, dei molti che occupano i teatri pubblici e delle direzioni artistiche in mano a dei semplici funzionari.

Quanto è difficile creare un cartellone di teatro d’avanguardia in provincia?

      Più che d’avanguardia io direi di Teatro di Ricerca per non limitarmi al Contemporaneo. Casa Babylon è stata per anni l’unica realtà teatrale su un territorio di circa 300 mila abitanti creando su un territorio che ne era privo, fertili occasioni di incontro e confronto, con una attenzione alle nuove generazioni creative, all’evoluzione dei linguaggi scenici e con interesse particolarmente rivolto alla nuova drammaturgia. La poetica di Scenari pagani è valsa al Festival vasti consensi di pubblico e di critica, per avere realizzato e imposto all’attenzione del mondo teatrale un felice appuntamento con la scena contemporanea, dando vita a una rassegna di grande respiro e rigore in un territorio geograficamente e teatralmente non facile, ma carico di necessità. Poi nel 2011 nascono il teatro Diana a Nocera e il Teatro Sant’Alfonso a Pagani, subito vengono dati in gestione al TPC. Tutti gli amministratori che negli anni sono passati dal nostro teatro si rimangiano tutte le promesse di farci passare al nuovo teatro con tutto il nostro carico di attività e esperienze. Nulla è valso che negli anni il Premio Scenari pagani abbia portato a Pagani: Enzo Moscato (1998), Peppe Lanzetta (1999), Moni Ovadia (2000), Giobbe Covatta e Mariano Rigillo (2001), Marco Paolini(2002), agli Avion Travel e Antonio Rezza (2003), Nicola Arigliano e Alessandro Benvenuti (2004), Alessandro Bergonzoni  (2005),  Sergio  Caputo, Pippo  Delbono e Enrico  Bertolino  (2006), Ascanio Celestini e Roberto Herlitzka (2007), Compagnia Le Belle Bandiere, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Maria Paiato (2008), Davide Enìa, Musica Nuda, Moni Ovadia (2009), Marco Baliani (2010), Ennio Marchetto e Roberto Saviano (2011), David Larible e GardiHutter  (2012), Teatro Necessario e Javier Girotto (2013), Davide Iodice e Peppe Servillo(2014), Emma Dante (2015), Armando Punzo, Leo Bassi (2016) Enzo Gragnaniello (2017), Piccola Compagnia Dammacco (2018), Familiefloz, Daniele Sepe (2019). Il Festival, nel corso degli anni, ha inoltre ospitato: Peppe Lanzetta, Francesco Paolantoni, I Virtuosi di S. Martino, Peppe Barra, Enzo Moscato, la Banda Osiris, Moni Ovadia, Roberto Citran, Alessandro Bergonzoni, Mariano Rigillo, Giobbe Covatta, Tonino Taiuti, Marco Zurzolo, Licia Maglietta, Jango Edwards, Ascanio Celestini, Marco Paolini, Antonio Rezza, Marco Baliani, Avion Travel, Natalino Balasso, Daniele Formica, Ficarra &Picone, Compagnia Teatro Nuovo Napoli, Compagnia Sud Costa Occidentale, Nicola Arigliano, Leonardo Manera, Alessandro Benvenuti, Giorgio Rossi, Claudio Morganti, Paolo Fresu, Compagnia Teatro Minimo Andria, Compagnia Libera Mente Napoli, Olcese & Margiotta, Compagnia Pippo Delbono, Arturo Cirillo, Sergio Caputo, Enrico Bertolino, Ennio Marchetto, Rem & Cap, Compagnia Teatro dell’Argine, Roberto Herlitzka, FamilieFloez, la Micro Band, Giuliana Musso, Compagnia Scimone/Sframeli, Compagnia Scena Verticale, Marina Confalone, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Paolo Chiazzo, Gaetano Ventriglia, Massimiliano Civica, Andrea Rivera, Compagnia CREST, Compagnia Fortebraccio Teatro, Maria Paiato, Compagnia Le Belle Bandiere, Petra Magoni/Ferruccio Spinetti, Davide Enìa, Compagnia Krypton, Compagnia Eduardo Tartaglia, Corrado Nuzzo/Maria Di Biase, Dario Vergassola, Compagnia Gli Ipocriti, Compagnia I sacchi di sabbia, Compagnia Miti pretese, Paolo Nani, Compagnia Ribolle, Compagnia Musella/Mazzarelli, I Nobraino, I Ditelo Voi, Teatro Necessario, David Larible, Gardi Hutter, Eccentrici Dadarò, Rocco Barbaro, Carrozzeria Orfeo, Idiot Savant, Posteggiatori Tristi, Fausto Mesolella, Javier Girotto/Luciano Biondini, Fibre Parallele, Compagnia Cassepipe, Interno 5/Ludwig, Davide Iodice, , Javier Girotto, Luciano Biondini, Alberto Farina, Compagnia Maniaci D'Amore, Carrozzeria Orfeo, Compagnia Berardi Casolari, Luciano Saltarelli, David Larible, Natalio Mangalavite, Peppe Servillo ecc. Non siamo mai stati coinvolti né alla programmazione di una stagione artistica, né ad una gestione pluralistica di eventi e spazi. Abbiamo fatto delle battaglie delle lotte perché la cosa pubblica fosse trasparente e plurale e invece si è scelto di andare sempre più verso la monopolizzazione delle cose. L’ultimo tentativo che abbiamo fatto è stato la costituzione di un comitato artistico che avrebbe garantito la gestione del nuovo spazio e la continuità e potenziamento di una proposta culturale proveniente dal territorio che per anni aveva faticato e lavorato nelle profonde difficoltà. Sono contro un modo personalizzato di fare e di intendere la cosa pubblica. Ma la speranza ce l’ho sempre, del resto una parte consistente del mio lavoro lo faccio con dei bambini. I bambini a contatto con questo rigore, con questo gioco del teatro possono coltivare questa coscienza, magari la stessa coscienza che è capitata a me. Noi proponiamo le nostre scelte a quel pubblico che oramai ci siamo coltivati, quasi educati, avvertito, che ci segue e ci viene a vedere con passione con la condivisione civile e quello ti deve bastare perché poi il teatro non può cambiare tutto; tu puoi fare il teatro più bello e anche il più moderno ma se non è accompagnata da tante cose intorno. Se l’istituzione è per la superficialità, per l’effimero pure il teatro fa la stessa fine.

Cosa chiederebbe ai politici per incentivare l’arte teatrale nel Sud del Paese?

      Alla politica non riesco a chiedere più niente. La politica non ce la fa. Guarda. Ci vorrebbe un nuovo rinascimento. Non ci sono idee e si preferisce andare sul sicuro. A parte il caso Campania che per sua tradizione consolidata e per logiche di scelte politiche anche se appiattita su cartelloni a spettacoli indifferenziati è ricca di proposte concentrate nel napoletano e nel suo interland. Ti faccio solo due esempi di vetrine/festival molto interessanti che hanno coraggiosamente scommesso su un progetto e faticosamente lo fanno vivere. Uno è Primavera dei Teatri a Castrovillari, l’altro è Maggio all’Infanzia che si svolge in Puglia. Ma per incentivare l’arte teatrale nel Sud del Paese non basta. Bisognerebbe riformulare la legge sullo spettacolo, ma per farlo dovremmo avere come Paese una idea diversa  da quella che abbiamo, dovremmo essere un Paese diverso. La Francia, la Germania hanno leggi più avanzate,  ma anche più madide di necessità e di nuove opportunità per gli artisti. Lì è tutta un’altra cosa. Quando ho fatto questa scelta di campo dedicandomi esclusivamente al teatro allora si poteva fare, abbiamo sopravvissuto, oggi non sarei così sicuro. Il teatro: alcune volte lo amo, alcune volte lo odio, ma comunque una grande consolazione, perché in una vita come questa anche quella dove ci si può dire più liberi, in una vita che ti permette poco di dire come la pensi, come puoi esprimerti, il teatro è il luogo di un urlo. Il senso di insofferenza che ho verso il teatro è per il rito mondano che non mi piace proprio. Per me è importante il luogo dove si possono dire delle cose in cui credo e i nostri spettatori lo hanno capito. Da un po' di tempo ho la sensazione che si aspettino le nostre cose perché è il momento che anche l'altro deve dire insieme a te. Ma devi sempre combattere con il territorio, perché nonostante tutto e nonostante gli anni facciamo sempre fatica a fare alcune cose. Le motivazioni sono sempre le stesse. Che la piazza non è preparata e non percepirebbe. Però continuo nella mia direzione  perché concepisco il teatro come una sorta di rito comunitario, una mensa a cui tutti devono sedersi, bere, mangiare. Non è bello lasciare indietro i tuo amici di sempre. Poi ci sono quelli che approdano per la prima volta nel mio universo e infine i bambini, le future leve, sperando di poterli vedere…

intervista raccolta per Emmetag da Maura Ciociano

scatto gentilmente fornito da Nicolantonio Napoli